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#DemDebate: di che cosa hanno parlato i candidati democratici?

Lo scorso 20 febbraio il Paris Theater di Las Vegas (Nevada) è stato il teatro del nono dibattito delle primarie democratiche, organizzato da NBC News e MSNBC.

Per partecipare era necessario rispettare almeno uno dei tre requisiti decisi dal Democratic National Committee.

  • In particolar modo, bisognava avere più del 10% in quattro sondaggi nazionali o del Nevada o del South Carolina tra il 15 e il 18 febbraio.
  • Alternativamente, si poteva prendere parte avendo più del 12% in due sondaggi locali, o del Nevada o del South Carolina (prossima località che ospiterà il decimo dibattito).
  • Il terzo criterio, infine, consisteva nell’ aver ottenuto dei delegati nelle scorse due votazioni (Iowa o New Hampshire).

Il dibattito su Twitter: cosa emerge dai cinguettii degli spettatori? 

Venendo a parlare del dibattito che si è tenuto mercoledì, il team du Quaerys ha effettuato due tipi di analisi.  La prima si è concentrata sui candidati, in particolare su quelli più popolari agli occhi degli spettatori. La seconda ha cercato di individuare le tematiche emerse maggiormente durante il dibattito.

Nel primo caso, è stata avviata un’analisi sui tweet pubblicati dall’inizio alla fine del dibattito, ossia dalle 3:00 alle 5:30 di mattina (ora italiana).

Il primo momento – 3:45

Come si nota dal grafico due sono stati i momenti clou. Il primo alle 3:45 (bisogna considerare un’ora in più dovuta al GMT+1) in corrispondenza dell’attacco di Joe Biden contro Bloomberg, uno dei tanti rivolti al magnate da parte degli altri contendenti. In particolare, l’intervento di Biden è anticipato dalla risposta della Warren, la quale discute degli accordi di non divulgazione che Bloomberg avrebbe fatto firmare ad alcune donne che lo avevano accusato di violenze sessuali e di discriminazione di genere. Biden incalza le critiche mosse dalla Warren, senza focalizzarsi sulla questione delle violenze, ma si concentra sull’importanza della trasparenza che un politico che si candida per la presidenza dovrebbe avere.

Watching Mike Bloomberg trying to alpha male is delightfully entertaining. Especially when Liz Warren beat him like she had a sack of soap in a pillowcase. Brutal. #DemDebate — ☠️ Rehab For Ghosts ☠️ (@Scotty66632714) February 20, 2020

Come dimostrano i due tweet, l’apice è dovuto principalmente alla risposta puntigliosa della Warren nei confronti di Bloomberg.

Il secondo momento – 3:52

Il secondo momento coincide con la risposta della Klobuchar alla domanda relativa al Messico. La giornalista le chiede come sia possibile che in un’intervista lei non fosse stata in grado di pronunciare il nome del Presidente del Messico e non fosse riuscita ad elencare nessuna policy che il presidente Lopez Obrador ha attuato. La risposta poco accurata e il tentennamento della senatrice ha dato adito alla replica-attacco di Buttigieg. Proprio questo battibecco tra Buttigieg e Klobuchar è il fulcro dei tweet delle 3:52 (ora italiana):

Lotta di popolarità: di chi si è parlato di più?

Il campione di tweets analizzato è stato generato a partire dagli hashtags #DemDebate, #Nevada e #NevadaCaucus2020 (treding hashtags per commentare la serata). L’analisi delle relazioni tra hashtags ha fatto emergere, oltre che alle relazioni, i nomi dei candidati più chiacchierati.

I legami più forti (densità delle linee) sono attorno a due attori principali: la Warren e Bloomberg. A differenza di quanto è emerso dal dibattito, Trump è stato poche volte associato alla serata in Nevada nonostante i candidati lo abbiamo citato innumerevoli volte. Inoltre, aspetto interessante, nella Twittersfera passano in secondo piano gli altri candidati, con alcune eccezioni per Sanders (che però non fa un impressionante exploit).

Questi risultati possono essere degli indici di come sia andata la serata: le persone tendono a discutere di chi ha fatto un’ottima performance (Warren) e chi, invece, ha fatto troppe gaffes (Bloomberg).

L’analisi tematica del dibattito: di che cosa hanno parlato i candidati?

Come è stato anticipato precedentemente, la seconda fase di analisi si è concentrata sul contenuto sul dibattito, per capire quali sono stati i temi salienti e quale è stata la strategia comunicativa utilizzata dai candidati in vista delle elezioni di sabato 22 in Nevada.

A dispetto di molti siti che hanno pubblicato analisi sulla quantità di parole utilizzate dai candidati, l’ indagine svolta da Quaerys ha avuto come obiettivo capire che cosa emergesse da quelle parole.

Dal grafico emergono alcune considerazioni importanti.
La prima di questa è la presenza di “people” come la parola più utilizzata, escluso Buttigieg. Per l’ex sindaco di South Bend, invece, “president” è in pole position, “people“al secondo posto. D’altronde riferirsi al popolo è sempre stato una strategia comunicativa fortemente presente nella retorica americana, anche per il fatto che i dibattiti vengono sì fatti proprio per convincere gli elettori.

Buttigieg, comunque, non è il solo ad assegnare una grande enfasi a “president“. Difatti, tale termine compare anche tra Biden (4° posizione) e Klobuchar (2° posizione). Mentre è totalmente assente in Sanders, Bloomberg e nella Warren.
Da questo primo grafico emerge una chiara distinzione tra i sei candidati. Da una parte quelli maggiormente moderati, ossia Biden, Bloomberg, Buttigieg e Klobuchar, i quali sono accomunati da un utilizzo preponderante della sfera economica (“tax“, “bill“, “money“) e dalla presentazione dell’élite (“Trump“, “President“, “Washington“).

A contrapporsi al modello tecnocratico, si propone il modello grassroots di Warren e Sanders, dove la comunicazione (“talk“) delle proprie tematiche (“health“, “care” e “women“) rimane la parte più preponderante nei loro interventi.

Analisi N-grams: le parole-chiave del dibattito

Considerare solo parole può essere utile per dare una prima prospettiva delle tematiche considerate, ma fermarsi solo a quelle potrebbe essere riduttivo e limitante, per questo è utile concentrarsi anche sugli N-grams più utilizzati.
Come Obama ci aveva insegnato, l’utilizzo del “We” nei discorsi in campagna elettorale è fondamentale. Il significato principale è di inclusione, far sentire le persone coinvolte in quello che si propone, partecipi del procedimento decisionale.

In questo primo grafico, come si nota, vengono considerate le stopwords, da cui emerge l’ampio utilizzo del “We” inclusivo di Obama in tutti i candidati, eccezion fatta per la Klobuchar. In questo caso, infatti, la candidata sacrifica il “we“, per una maggiore presenza di “I“, pronome personale in prima persona. Quindi, il soggetto della frase non è una comunità unita, ma principalmente la candidata, che si pone in una situazione centrale, in una sorta di “self-reflection“.

Il “we” inclusivo: 4 modelli

Analizzando invece l’utilizzo del “we“, è possibile evidenziarne almeno 4 tipi.
ll primo accomuna Sanders e Biden: entrambi utilizzano un approccio normativo rappresentato dal “we have“. I due candidati si pongono nel ruolo di autorità, pronti a prendere le decisioni per il popolo, che non ha margini di scelta.
Il secondo è rappresentato dalla Warren. Il precedente “we have” viene rimpiazzato da “we need“. Interpellare una necessità di azione volta a risolvere una problematica sociale rinvia ad un approccio persuasivo, che colpisce l’emotività degli elettori.

Tra questi due poli dell’asse, si posiziona la terza tipologia, quella di Bloomberg. Il miliardario newyorkese utilizza il “we” in un contesto rivolto al futurogoing to” e “to get to“. Tale strategia acquisisce maggiore consistenza se si considera anche l’utilizzo di “let me“, ossia “permettetemi”. Dunque, il candidato parlando agli americani chiede il loro permesso per governare in un futuro prossimo, per ricevere la loro legittimazione.
Ed infine, il quarto. Buttigieg riprende il celebre “we can” di matrice Obama ma lo avvicina all’incerto “I think“. Se da una parte vi è un tono forte ed incisivo, di presa di posizione, dall’altra parte emerge un ego incerto.

Parole che parlano di visioni e temi

Sanders incentra il suo discorso sulla tematica a lui più cara “health care“, individuando e creando un immaginario ben chiaro del suo nemico, “Mr. Bloomberg“.
Buttigieg ripropone in maniera marginale la tematica dell’ “health care” ma è forte la tematica dello “status quo“, “this stage“, “this status“. Dunque, se prima si sottolineava come Bloomberg parlasse del futuro, Buttigieg si limita a descrivere e argomentare la situazione attuale.
Anche la Warren si focalizza sull’ “health care“, essendo una tematica molto sentita sul fronte democratico. A ciò si aggiunge il tema delle presidenziali di novembre e dunque una sua investitura a “beat Trump“, rimane altamente presente.
Biden si distingue dagli altri per il suo focus verso aspetti economici in un’ottica globale (“world“, “it costs” e “of money“). Infatti è l’unico candidato in cui non compaiono “United States“, “America” o “country“.
Ed infine Bloomberg, oltre a quanto già detto, dà grande importanza alla sua passata esperienza, o comunque viene data una forte enfasi anche in relazione agli attacchi e alle domande postegli, “New York” e “york city“.

Riepilogo

Dall’analisi del contenuto del dibattito è possibile identificare due assi.

Il primo piano si compone della contrapposizione tra modello tecnocratico, rappresentato dai candidati più centrali, moderati che dettano una linea valoriale agli elettori di tipo top-bottom. Nell’altro polo, invece, vi è il modello grassroots di Sanders e Warren, caratterizzato da un modello bottom-top, di ascolto della base elettorale e del costante confronto con essa.
Il secondo asse è definito dal piano normativo riassunto nel “we have” di Sanders e Biden. Dall’altro capo, invece, il piano persuasivo del “we need” che si rivolge ai sentimenti degli americani, facendo leva su esperienze di vita comuni.
Questi due assi potrebbero essere così rappresentati:

Sabato si voterà in Nevada e si capirà quali tematiche hanno maggiormente colpito l’elettorato del Nevada e quali candidati potrebbero ritirarsi.

Stay tuned!

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