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La riforma del copyright e la reazione del web

Le premesse

Il 20 giugno scorso la commissione giuridica del Parlamento Europeo ha dato il via libera alle modifiche riguardanti la direttiva sul mercato unico digitale, proposta dalla Commissione Europea nel 2016. Il 12 settembre l’Europarlamento ha approvato in seduta plenaria la direttiva, il cui testo diverrà definitivo solo al termine dei negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione. Successivamente i singoli paesi membri dovranno recepire la direttiva all’interno dei propri ordinamenti con l’emanazione di apposite leggi.
Le principali critiche mosse alla riforma riguardano gli articoli 11 e 13: il primo prevede l’introduzione di una nuova forma di compenso per l’autore – la cosiddetta “link tax” – che mira a contrastare gli “snippet”, porzioni di contenuti editoriali che appaiono sotto forma di testo o immagini al momento della condivisione del link su socialnetwork e siti web (e che secondo la direttiva costituiscono una violazione del copyright), attraverso la richiesta preventiva di un’autorizzazione alla pubblicazione e il pagamento di un equo compenso all’editore.
L’art. 13, invece, prevede l’inserimento di un sistema di valutazione, a carico delle grandi piattaforme di condivisione, da effettuare prima della pubblicazione dei contenuti al fine di verificarne eventuali violazioni del copyright e, se necessario, procedere alla loro rimozione.
Nonostante il testo approvato rappresenti una versione edulcorata della proposta iniziale, non sono poche le critiche avanzate dai rappresentanti della politica e dai cosiddetti “tecnici del web” – tra i quali figura il fondatore del World Wide Web, Tim Berners Lee – in merito alla possibile limitazione della libertà di espressione e di informazione dei cittadini.

I soggetti coinvolti

Dato il valore della discussione, Quaerys ha deciso di approfondire l’argomento analizzando gli articoli pubblicati dalla stampa e le conversazioni generate dagli utenti. I temi della libertà della Rete e dell’accesso ai dati, infatti, coinvolgono – a livelli differenti, ma ugualmente significativi – molteplici attori: il mondo accademico e scientifico, che si avvale di dati pubblici per portare avanti la ricerca; le aziende che, come la nostra, si occupano di data analysis e, non ultimo, gli utenti, i cittadini digitalizzati, che in seguito alla riforma potrebbero vedere limitate la propria libertà d’informazione nonché la possibilità di pubblicare e/o fruire liberamente di contenuti online.
Uno dei principali rischi della nuova direttiva – messo in luce da numerosi esperti del settore – concerne, infatti, il potere di redazione e di filtro attribuito ai big player del mercato digitale: i grandi motori di ricerca e le grandi piattaforme social potrebbero decidere di indicizzare e pubblicare esclusivamente contenuti extra europei a “costo zero”, a scapito dell’informazione e dei prodotti europei che, al contrario, richiedono il pagamento di un equo compenso agli editori e agli autori.
Inoltre, nonostante i costi necessari per implementare questi sistemi di filtraggio, le grandi piattaforme del web potrebbero beneficiare di ulteriori profitti derivanti dal controllo congiunto degli UGC (User Generated Content) e dei metadati degli utenti che fruiscono di tali contenuti, preannunciando un’ulteriore stretta sul libero accesso ai dati, concepiti sempre di più come risorsa privata per l’advertising piuttosto che come bene comune utile alla ricerca e alla crescita economica generale.
Proprio la crescente chiusura da parte di alcuni social network rispetto al libero accesso agli UGC, ci ha obbligati ad analizzare esclusivamente articoli e commenti pubblicati dalla testata del “Fatto Quotidiano”, unico quotidiano italiano di tiratura nazionale ad averci dato la possibilità di accedere ad una quantità di commenti idonea all’analisi.
Nel nostro studio abbiamo, quindi, analizzato 21 articoli pubblicati sull’argomento da esperti e giornalisti del settore e 1.113 commenti ad essi connessi.

La fruizione di contenuti online in Europa

Per comprendere al meglio le reazioni degli utenti alla riforma proposta dalla Commissione europea è opportuno prendere, anzitutto, in considerazione il rapporto degli utenti italiani ed europei con i Social Network e le loro modalità di fruizione di informazioni e contenuti online.
Le rilevazioni svolte dall’Eurostat per l’anno 2017 pongono l’Italia, insieme alla Francia, agli ultimi posti in Europa per l’utilizzo dei social network (solo il 43% della popolazione li utilizza) e confinano il nostro Paese a fanalino di coda dell’Europa per quanto riguarda l’informazione online (solo il 39% degli italiani legge news online).
La situazione italiana migliora – scavalcando la metà della classifica – se si prendono in considerazione la fruizione di video – dove nel 2016 circa il 50% degli italiani ha fruito abitualmente di tali contenuti – e la consultazione dei siti di wikis (come ad esempio Wikipedia), con il 38% degli italiani che ne fanno uso.

Cosa si è detto di preciso sulla riforma?

Entrando nel merito dell’analisi, iniziamo analizzando l’evoluzione temporale del sentiment. Articoli e commenti registrano un andamento pressoché analogo: per entrambi, infatti, i valori dei sentimenti positivi risultano, tendenzialmente, maggiori rispetto a quelli negativi. In particolare, il minimo che raggiunge il valore zero nella sentiment degli articoli, in corrispondenza del 16 settembre, fa riferimento ad una vignetta, corredata di due sole righe di testo, che hanno determinato un valore nullo nella sentiment a causa dell’assenza di dati testuali da analizzare.

Per comprendere meglio le ragioni di un sentiment complessivamente positivo è opportuno approfondire l’analisi attraverso l’esame delle associazioni di parole più frequenti negli articoli e nei commenti, per osservare i termini ai quali esse risultano maggiormente correlate.
All’interno degli articoli (immagine 1) i risultati mettono in luce bi-grammi che rinviano alla libertà di espressione e di informazione (es. “libertà stampa”, “libertà espressione”, “bavaglio rete”, “titolari diritti”) e agli interessi degli editori e degli autori (es. “link tax”, “autori editori”), confermando la narrazione mainstream che si è affermata sul tema.


Immagine 1. Bi-grammi più frequenti negli articoli

In generale, si osserva come, complessivamente, i giornalisti del Fatto Quotidiano non abbiano utilizzato una terminologia eccessivamente negativa o critica nei confronti della riforma, ma abbiano preferito descriverne i diversi aspetti, evidenziando punti di forza e di debolezza. Queste osservazioni trovano ulteriore conferma nell’analisi dei termini maggiormente associati alla parola “diritto” (immagine 2) – la più frequente nei testi analizzati – che, anche in questo caso, non risultano particolarmente critici (i più negativi sono: “purtroppo” e “rischio”).


Immagine 2. Parole associate a “diritto” negli articoli

Per quanto attiene ai commenti (immagine 3), i bi-grammi che richiamano esplicitamente il diritto ad un’informazione libera (es. “libertà d’espressione”, “mettere il bavaglio”) risultano meno diffusi rispetto ai bi-grammi che fanno riferimento agli interessi di autori ed editori (es. “proprietà intellettuale”, “pagare diritti”, “link tax”) o al contenuto della direttiva (es. “parlamento europeo”, “fake news”).


Immagine 3. Bi-grammi più frequenti nei commenti

Infine, le parole strettamente correlate al termine “diritto” (immagine 4) – il più frequente – risultano per lo più positive e suggeriscono opinioni di supporto alla riforma (“ottimo”, “paghi”, “retribuito”, “supporto”, “capolavori”, “ottimo”).


Immagine 4. Parole associate a “diritto” nei commenti

Conclusioni

In conclusione, l’analisi svolta da Quaerys consente di osservare che:

  • giornalisti e utenti del Web – con minime differenze gli uni dagli altri – adottano un approccio positivo, che al dissenso e alla protesta sostituisce il racconto dei fatti, ovvero la descrizione del contenuto della direttiva che lascia spazio alle novità percepite come positive, senza tuttavia tralasciare gli aspetti più critici;
  • le conversazioni e gli articoli pubblicati sul Fatto Quotidiano hanno attribuito un ruolo marginale ai big player del mercato digitale, che – al contrario – rappresentano attori di primissimo piano all’interno della partita sul diritto d’autore.

Proprio recentemente YouTube ha ricordato come il controllo preventivo sui contenuti potrebbe intaccare in modo consistente la libertà di produzione e pubblicazione dei video da parte degli iscritti alla piattaforma: per evitare di incorrere in violazioni del copyright, infatti, la società potrebbe adottare una policy più restrittiva, bloccando anche i contenuti giudicati “dubbi”. La medesima logica potrebbe essere replicata da social network come Facebook e Instagram, con il risultato di limitare la libertà di espressione dei utenti.
Il dibattito sulla tutela del diritto d’autore non può, dunque, prescindere dalla presa di coscienza dei potenziali rischi insiti in un’economia nella quale il numero di contenuti prodotti dagli utenti aumenta in misura esponenziale e proporzionale al valore (economico) attribuito loro dalle piattaforme che li ospitano. L’auspicio è che, nel legiferare, le istituzioni non tengano conto solamente delle richieste degli editori e delle grandi corporation del web, ma coinvolgano anche la principale fonte di produzione dei dati che popolano le piattaforme: gli utenti del web.

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